Memoria, per non dimenticare

lapide vittime terrorismoL’Associazione si chiama MEMORIA perché attraverso essa vogliamo ricordare, far ricordare e diffondere i valori umani, civili e morali in difesa dei quali i nostri cari sono stati uccisi: libertà, legalità, democrazia.

La Memoria sopravvive e si perpetua e attraverso essa si può e si deve far avere piena coscienza nei cittadini del profondo significato e della forte funzione sociale  delle Forze dell’ Ordine e dei Magistrati.

Non ci sono sentimenti di vendetta nella memoria.

C’è la richiesta di verità e di giustizia, perché troppo spesso non abbiamo avuto né l’una né l’altra.

Questi i nostri morti: 123 uomini Servitori dello Stato tra Poliziotti, il maggior numero circa 80, Carabinieri, Agenti di Custodia, Finanzieri e 9 Magistrati.

Senza contare gli oltre 5.000 feriti.

Dalle stragi terroristiche altoatesine all’agguato di Via Prati di Papa a Roma.

Terrorismo di destra e di sinistra.

Terrorismo rosso e terrorismo nero.

Uomini colpevoli di indossare una divisa o una toga e perciò definiti servitori dello Stato.

Ma lo Stato siamo tutti noi e troppo spesso lo dimentichiamo e demandiamo ad altri il compito di ricordarlo.

E’ per noi doveroso in questo momento chiedere che le nostre parole non siano travisate ed interpretate come reazione dettata solo da un dolore che non è cancellabile: è una voce doverosamente presente senza retorica, attenta a non suscitare pietismo.

Perché è vero che i morti sono morti tutti uguali, come uguale è il dolore per la perdita, l’elaborazione del lutto, l’affrontare i problemi anche spiccioli quotidiani, crescere figli che non hanno avuto la possibilità di dare e ricevere la carezza dai loro padri.

Ma diverso è essere coscienti del fatto che non il FATO ma altri uomini hanno deciso che proprio perché essi rappresentavano lo Stato o magari stavano facendo indagini che avrebbero avvicinato alla verità e forse anche alla scoperta di covi ed organizzazioni, o perché erano la scorta di un uomo politico o perché erano in servizio nell’ esatto momento in cui accadeva qualcosa che non si doveva sapere, sono stati coscientemente e deliberatamente uccisi.

Non l’incidente e non il caso ma il fatto di rappresentare lo Stato.

Non la malattia, ma il fatto di voler far affermare libertà, democrazia, legalità.

Poliziotti e Carabinieri e Magistrati scelti perché simbolo dell’efficienza dello Stato.

E poco contava se accanto avevano i figli o le mogli.

I loro valori morali, le loro certezze istituzionali, la loro capacità di donare se stessi e le proprie famiglie al servizio degli altri è quello che ci è rimasto.

Ed è quello che siamo stati troppo spesso e troppo spesso anche inutilmente costretti a cercare di far ricordare.

Per anni e anche adesso, a periodi ricorrenti, ci ritroviamo in mezzo ad una ridda di voci ed a tangibili iniziative che da anni sono rivolte solo a validare, forse anche politicamente, uomini che oltre che a ferire altri uomini, hanno fatto sì che tanti bambini restassero senza un padre  a cui chiedere e dare affetto.

O non lo hanno mai conosciuto.

Lo stesso Stato ed i suoi apparati ci sono troppe volte apparsi operosi e  solleciti contro i familiari delle vittime di quegli anni di piombo e non accanto, come pensavamo dovesse essere.

Hanno anche provato a farci credere che una parte di stato ha combattuto ed ucciso l’ altra parte.

Ci siamo rifiutati con tutte le nostre forze di crederlo.

Senza contare le volte che giornali e televisioni riservano ai terroristi  pagine intere o addirittura trasmissioni televisive.

Associazioni umanitarie, Cooperative, Parlamentari, giornalisti, religiosi, uomini e donne di cultura e dello spettacolo: tutti preoccupati di aiutare quelli che in base ad ideali e convinzioni hanno deciso che si poteva impunemente anche uccidere.

Mai nessuno di loro si è sognato di andare a vedere come vivevano, di valutare i bisogni morali e materiali di chi dai terroristi era stato ferito gravemente nelle carni, di chi da loro era stato brutalmente costretto a non avere più un appoggio affettivo.

Ma in carcere hanno fatto a gara ad andarci e a pubblicizzare le loro visite….

Anche e soprattutto questo ci ha fatto sentire ancora più vittime.

La percezione individuale del nostro essere vittime si è riflettuta nella percezione che ci derivava dall’esterno: eravamo da nascondere, da non ascoltare, anche da umiliare, troppe volte.

La nostra voce, quando avevamo la possibilità di farla udire, era noiosa, fastidiosa, spesso riportata e rappresentata come quella di persone che volevano la vendetta e o che si ostinavano ad essere fuori dalla realtà.

Era giusto: i morti non possono più avere voce.

Ma le Forze dell’Ordine ed i Magistrati hanno voce: la voce di quanti vogliono vivere in un mondo realmente giusto, un mondo fatto di legalità e di giustizia.

Ma noi, troppo spesso non abbiamo avuto neppure quest’ultima.

Non si sono scoperti mandanti e esecutori, non si è fatta luce vera su fatti e ideologie.

Le pene non  sono state commisurate e la non certezza della pena è ormai l’unica certezza che ci è stato dato di avere: molti terroristi non hanno fatto neppure un giorno di galera perché loro le leggi le conoscono e le sanno usare bene, stati liberati sin da subito, li incontriamo per strada, fanno lezioni all’Università, sono presidenti di associazioni, hanno una seconda opportunità di vita.

Ai nostri caduti e ai loro familiari non è stato dato neppure questo.

Per i nostri morti e per noi familiari è stato veramente applicato il “fine pena mai”…..

Peccato, per i terroristi e per una certa parte della società e della politica,  che noi familiari delle vittime non si riesca a dimenticare che un certo giorno, ad una certa ora, hanno coscientemente aspettato sotto casa o lungo il percorso per l’ufficio proprio quel Poliziotto, quel Magistrato, quel Carabiniere, quell’Agente di Custodia e poi hanno deliberatamente sparato, tirato bombe a mano, assassinato, cercato di annullare la nostra libertà e la nostra democrazia.

Ci siamo sentiti ulteriormente vittime a causa della assoluta mancanza di informazione circa la possibilità di accedere a quanto già la legge prevedeva.

La non conoscenza, la difficoltà, i tempi biblici per ottenere quanto pure già era sancito ha contribuito notevolmente a far aumentare la nostra percezione dell’ essere vittime.

Vittime di un ingranaggio burocratico più grande di noi e troppo spesso avulso e distaccato dai nostri problemi.

Corre l’ obbligo ricordare che esiste un fondo per le vittime dell’usura e dell’ estorsione e uno per quelle della mafia.

Non esiste alcun fondo per le vittime del terrorismo.

Dimenticanza o volontà?

Se poi tutto ciò lo si rapporta alla velocità o quant’altro a favore dei terroristi ……

La stessa posizione nel processo in quanto parte civile è stata poco divulgata e poi spesso distorta….

Concludiamo affermando che il nostro “essere vittime” ci porta obbligatoriamente ad invitare l’intelligente sensibilità di ciascuno a tener presente che noi continueremo a batterci per far sì che niente e nessuno possa fare in modo che momenti in divenire ed opportunità politiche diverse portino a stravolgere ed a sovvertire con facilità i valori morali, le certezze istituzionali, di quanti per la stato e le sue leggi si sono fatti ferire o addirittura uccidere.

Perchè se ciò avvenisse, quanti sono ancora vivi, ma soprattutto i figli di quanti sono morti, si sentirebbero ancora più soli, abbandonati, traditi.

Allo Stato ed a chi ci rappresenta, agli uomini di cultura, ai cittadini, chiediamo che quanto abbiamo già subito non debba mai essere archiviato e visto con distacco storico: perché la stagione della violenza non continui a fare violenza sempre alle stesse persone.

Perché 15 progetti di legge a favore di indulto, amnistia ecc., con 47 deputati firmatari, a fronte di tre proposte di legge per le vittime del terrorismo, con soli 5 deputati firmatari, ci fiutiamo di credere che sia l’unica espressione dell’ impegno e del ricordo dei nostri cari da parte di quanti ci rappresentano.

Perché non può essere storia una verità ancora da scrivere.

                                                                              I membri dell’Associazione Memoria