Il Prefetto Francesco Tagliente ricorda i momenti tragici del terrorismo in Italia a Officina Stampa

Il Prefetto Francesco Tagliente il 10 maggio 2018 è stato ospite della trasmissione web “Officina Stampa” dove ha ricordato i momenti tragici vissuti dalle Forze dell’Ordine durante i tragici anni di piombo e che ha registrato numerose vittime da parte dei terroristi.

Tagliente: “Abbiamo il dovere etico di non lasciare ai brigatisti il monopolio della comunicazione su quei terribili anni della nostra Repubblica”.

Tutti i diritti riservati a Officina Stampa.

Montaggio a cura di Franco Mariani.

Le Vittime del terrorismo delle Forze dell’Ordine a Roma – video storico curato dalla Questura di Roma

Video della Questura di Roma realizzato il 9 maggio 2018 sulle Vittime del terrorismo delle Forze dell’Ordine cadute in servizio nella città di Roma.

Il video è stato proiettato per la prima volta lo scorso 9 maggio nella cerimonia, organizzata dal Prefetto Francesco Tagliente, svoltasi alla Questura di Roma alla presenza del Capo della Polizia, Prefetto Franco Gabrielli, in occasione della Giornata Nazionale della Memoria in ricordo delle Vittime del terrorismo.

 

IL MESSAGGERO: Roma, la Questura ricorda le vittime del terrorismo: «Necessario alimentare il senso dello Stato»

«Ho sempre concepito che la nostra attività ha un senso se possiamo essere utili al nostro paese, se possiamo servirlo. Le persone hanno l’esigenza di avere garantita la sicurezza e noi siamo qui per questo. Tra le 370 vittime del terrorismo 38 erano poliziotti, siamo l’amministrazione che ha pagato il prezzo più alto. I familiari sono i testimoni imperituri del sacrificio dei loro cari da cui noi dovremmo prendere esempio». Ha espresso questi concetti, insieme ad altri altrettanto importanti, il Capo della Polizia Franco Gabrielli in una breve video intervista a Il Messaggero a margine della celebrazione della “Giornata in Memoria delle vittime del terrorismo”. È  la prima volta che in Questura di Roma si celebra questo evento subito dopo la consueta cerimonia al Quirinale.
In via San Vitale, una sala gremita di persone, istituzioni e soprattutto i familiari delle vittime dei sanguinari attentati che hanno segnato i cosiddetti “anni di piombo”.

L’appuntamento è stato organizzato dall’Associazione degli insigniti al Merito della Repubblica (Ancri) in collaborazione con la Polizia di Stato e le Associazioni “Memoria” e  “Europea Vittime del Terrorismo”.  L’obiettivo si può dire raggiunto: manifestare la vicinanza ai familiari delle vittime e rendere omaggio a chi ha rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo.

Si è ribadito un dato di fatto e cioè che tra tutte le istituzioni impegnate nella lotta al terrorismo, la Questura di Roma è stata quella che in assoluto ha pagato di più anche in termini di vite umane. «Ricordare quelle vittime in Questura – ha detto il Questore di Roma Guido Marino – significa alimentare il senso dello Stato nel quale hanno creduto e per il quale si sono battute». Tantissimi i parenti delle vittime che hanno applaudito e condiviso questo momento di alto valore istituzionale nella sala Augusto Cocola di via di San Vitale.

Tra questi anche i familiari di Claudio Graziosi, Mariano Romiti, Ciro Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Rolando Lanari, Pierino Ollanu, Ciriaco Di Roma, Michele Granato, Luigi Carbone, Mario Amato, Paolo Galvanigi, Lorenzo Cutugno, Emilio Perondi, Rosario Berardi, Giuseppe Ciotta, Lucio Terminiello. La lista è lunga ma in Questura li hanno ricordati tutti, uno ad uno.

Toccanti e interessanti allo stesso tempo gli interventi del presidente dell’Ancri Tommaso Bove e del presidente dell’Associazione Memoria, Maiella Magi Dionisi. Interessanti gli interventi di Andrea Nemiz, storico fotogiornalista dell’AgiI e oggi direttore della rivista Dossier Sicurezza e Paolo Gambescia già direttore de L’Unità, Il Mattino e Il Messaggero. Hanno ripercorso quegli anni con la maturità di cronisti con la maiuscola facendo riferimento anche al tatto che hanno avuto all’epoca, loro e i colleghi, nel non fotografare all’epoca primi piani dei familiari delle vittime per mantenere decoro e rispetto che oggi, purtroppo, in alcuni casi viene meno.  Presente in sala lo storico “The king of paparazzi” Rino Barillari che ha una memoria storica e fotografica di quegli anni e che ha immortalato anche questa occasione.

A margine dell’evento abbiamo rivolto qualche domanda al Prefetto Francesco Tagliente, già Questore di Roma, che durante gli anni di piombo e della strategia della tensione era in servizio nella Capitale e che in questa occasione è stato riconosciuto da tutti come l’ideatore dell’iniziativa in Questura.

Prefetto Tagliente, l’Associazione dei Benemeriti della Repubblica per cui lei cura i rapporti istituzionali, quest’anno ha deciso di celebrare questa ricorrenza insieme con le associazioni vittime del terrorismo e con la Polizia di Stato. E la novità è che oggi il Capo della Polizia Franco Gabrieli è stato nominato socio onorario dell’Ancri. Come nasce questa iniziativa?

«Nasce dalla avvertita esigenza di ricordare le vittime del terrorismo, manifestare la vicinanza ai loro familiari e cogliere l’occasione per parlare anche di quelle persone che, in quegli anni di piombo e di strategia della tensione, hanno rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo. Milioni di cittadini, appartenenti alle varie classi sociali, sono sopravvissute al terrorismo e lottato contro il tentativo di eversione dell’ordine democratico. Penso che quei cittadini si sono sentiti indignati e offesi nel sentire dire alla ex brigatista Balzerani che “ormai fare la vittima è un mestiere”. Penso che si siano sentiti umiliati nel vedere ex brigatisti seduti in cattedra o in uno studio televisivo raccontare la loro verità a chi quegli anni non li ha vissuti. Abbiamo il dovere etico di non lasciare ai brigatisti il monopolio della comunicazione su quei terribili anni della nostra Repubblica. Quei milioni di cittadini vogliono ricordare che gli autori di quegli attentati omicidiari sono stati e resteranno terroristi e noi li ricordiamo come assassini».

Quale è la verità di chi quegli anni li ha vissuti combattendo il terrorismo? Come ricorda quel periodo? Che clima si respirava?
«Non era facile fare servizio in quegli anni cruciali. Era il periodo del terrorismo e della criminalità agguerrita, vigliacca e sanguinaria. Nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti si presentavano mascherati e spesso armati di spranghe, mazze, chiavi inglesi talvolta di molotov e addirittura di pistole. Erano gli anni dei sequestri di persona, delle rapine sanguinarie ai furgoni portavalori, alle banche, agli uffici postali e alle gioiellerie. Nel corso degli interventi la tensione era sempre altissima e l’adrenalina andava a mille. Le volanti erano frequentemente sollecitate e impegnate in spericolati inseguimenti. Ci lanciavano contro anche bottiglie incendiarie, bombe a mano e granate».

Erano gli anni della tensione. Aumentarono gli attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Che rapporto avete avuto con la paura?
«Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini rappresentanti della società civile, dirigenti di azienda, giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario, delle forze dell’ordine e persone degli altri apparati dello Stato. Molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati. La tensione e la paura, erano entrati a fare parte della quotidianità anche delle famiglie dei poliziotti. Ci sentivamo bersagli mobili di criminali sanguinari e vigliacchi che sparavano anche alle spalle di persone indifese».

Prefetto, l’Italia si fa vanto di avere combattuto il terrorismo rosso e nero che l’ha insanguinata negli Anni ’70 e ’80, con gli strumenti della democrazia, senza rinunciare ai principi di libertà e democrazia che ne fondano la legittimità costituzionale. Cosa ci dice al riguardo?
Molti a ragione dichiarano con orgoglio che l’Italia ha combattuto il terrorismo con gli strumenti della democrazia. Io aggiungo l’Italia ha combattuto il terrorismo con quegli strumenti giuridici e con gli uomini e le donne che hanno utilizzato quegli strumenti giuridici. Il terrorismo è stato battuto grazio a tutti quegli uomini che hanno combattuto con quegli strumenti giuridici pagando un presso molto alto anche in termini di vite umane. Oggi noi vogliamo dire grazie a tutte quelle vittime, a tutti i loro familiari che a distanza di oltre 40 anni piangono i loro cari e ai tantissimi cittadini, non solo degli apparati dello Stato, che hanno combattuto e sopravvissuto al terrorismo.

Chiara Rai

Edizione 9 maggio 2018

Celebrata al Quirinale la Giornata Nazionale 2018 della Memoria per le vittime del Terrorismo

Mercoledì 9 maggio 2018 si è svolta al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la cerimonia di celebrazione del Giorno della Memoria dedicato alla vittime del terrorismo.

Erano presenti, con i familiari e i rappresentanti delle Associazioni delle vittime del terrorismo, il Presidente del Senato della Repubblica, Elisabetta Maria Alberti Casellati, il Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, rappresentanti del Governo e del Parlamento e autorità civili e militari.

L’Associazione “Memoria” era presente con la Vice Presidente  min quanto la Presidente Mariella Magi Dionisi  a causa di un infortunio non ha potuto viaggiare, e con 60 familiari di varie vittime del terrorismo.

In precedenza il Presidente Mattarella ha deposto una corona di fiori in via Caetani, davanti alla lapide che ricorda l’on Aldo Moro e contemporaneamente il Consigliere del Presidente della Repubblica per gli Affari Giuridici e le Relazioni Costituzionali si è recato a Torrita Tiberina per deporre un cuscino di fiori sulla lapide dove è sepolto Aldo Moro.

Dopo l’esecuzione degli Inni nazionale ed europeo da parte del Coro del Teatro dell’Opera di Roma che successivamente ha eseguito il brano “Lacrimosa” dal Requiem di Mozart, sono intervenuti il giornalista e scrittore Ezio Mauro e gli studenti Michela Bivacqua e Filippo Ursillo.

Il Presidente Mattarella, coadiuvato dalla Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, ha proceduto alla consegna dei premi ai vincitori della quarta edizione del Concorso Nazionale “Tracce di Memoria”, all’Istituto comprensivo “Monteleone-Pascoli di Taurianova (RC) per il video “Strada facendo vedrai – Giustizia e legalità”, alla Scuola secondaria di I grado “Alfredo Panzini” I.C. 4 di Bologna per il progetto multimediale “Piantiamo la memoria” e all’Istituto Istruzione Superiore “Leon Battista Alberti di Roma per il video “New Generation Memory”.

La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente della Repubblica.

Questo il testo integrale del discorso del Presidente Mattarella

Rivolgo un saluto ai Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri, a tutti i presenti e a coloro che ci seguono attraverso la tv.

Ringrazio Ezio Mauro per le parole che ci ha rivolto. Ci ha ricondotto con efficacia a tanti momenti ed eventi dolorosi e luttuosi. Ci ha rammentato impegni e doveri cui assolvere. Ci ha presentato prospettive della nostra comune convivenza.

Ringrazio molto Michela Bivacqua e Filippo Ursillo per averci presentato i risultati del loro lavoro: complimenti ragazzi!

Complimenti a coloro che hanno ricevuto un premio, e a quanti si sono impegnati nelle ricerche e nelle attività.

Un ringraziamento al magnifico coro del teatro dell’Opera.

Questa cerimonia austera, sobria – come è giusto – interpreta questo giorno che è di memoria e di solidarietà. Memoria di chi ha pagato con la vita la crudeltà del terrorismo, di chi ha servito le istituzioni e la nostra società, non cedendo al ricatto e alla paura, di chi ha tenuto alta la dignità, divenendo così testimone della libertà di ciascuno di noi.

Ed è proprio la memoria a suscitare solidarietà. Anzitutto nei confronti dei familiari delle vittime, la cui sofferenza, tante volte, è stata aggravata da difficoltà materiali e da quotidiani sacrifici. Ad essi desidero far sentire la mia personale vicinanza, e quella delle istituzioni, consapevole che i sentimenti, che tutti noi oggi esprimiamo, nascono da un senso profondo di umanità e dalla comune coscienza civile.

Questo Giorno vuol essere segno autentico di una comunità che ricorda gli eventi, lieti o dolorosi, che ne hanno attraversato la vita, che sa guardare al futuro proprio perché capace di collegarsi alle proprie radici e di condividere, attraverso momenti difficili e anche dolorosi, un’ideale di persona e di giustizia.

Il nostro Paese è stato insanguinato, dalla fine degli anni Sessanta, da aggressioni terroristiche di differente matrice, da strategie eversive messe in atto, talvolta, con la complicità di soggetti che tradivano il loro ruolo di appartenenti ad apparati dello Stato, da una violenza politica che traeva spinta da degenerazioni ideologiche, persino da contiguità e intrecci tra organizzazioni criminali e bande armate.

Tante, troppe persone sono state assassinate barbaramente e vilmente. Tanti nostri concittadini sono stati colpiti, feriti, hanno portato e portano ancora i segni di quella insensata brutalità. Donne e uomini delle forze dell’ordine, professori, studenti, magistrati, giornalisti, uomini politici, dirigenti d’azienda, commercianti, operai, sindacalisti, militari, amministratori pubblici. Sono divenuti bersaglio perché individuati come simboli, oppure perché l’odio ha preso la forma del desiderio di annientamento, del messaggio trasversale di morte. La logica criminale – e non poteva essere altrimenti – alla fine si è impossessata anche del più ideologico dei gruppi terroristici.

Non dimenticare significa anche fare i conti con questa storia che ha attraversato la vita della Repubblica e ha messo a dura prova quella costruzione democratica che il popolo italiano è riuscito a erigere dopo la Liberazione e che la Costituzione ha reso un patrimonio di valori, non soltanto di norme giuridiche.

Abbiamo appreso che la democrazia non può dirsi mai conquistata una volta per tutte. Abbiamo appreso che la democrazia vince quando non rinuncia a se stessa, ai principi di civiltà che la sostengono, alla libertà, al diritto e al rispetto dei diritti. Abbiamo appreso che ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze: è stata anzitutto l’unità del popolo italiano a sconfiggere la minaccia terroristica.

Si è compreso, di fronte a quell’emergenza, che vi sono momenti che richiamano a valori costituzionali. A impegni comuni; perché non divisivi delle posizioni politiche ma riferiti a interessi fondamentali del Paese, in questo senso neutrali.

Diversi affluenti hanno riempito l’invaso di odio e di violenza. Oggi possiamo dire – e non soltanto per l’insopportabile sequela di vite spezzate – che si è trattato di progetti eversivi, finalizzati a destabilizzare le istituzioni e a disarticolare la nostra convivenza. La violenza, l’omicidio, l’assalto alla democrazia e alla legalità sono il contrario di ciò che persegue fini liberatori: sono sempre moltiplicatori di intolleranza, di sopraffazione, di crudeltà.

Velleità rivoluzionarie della sinistra estrema, manifestate dal brigatismo rosso, trame reazionarie e rigurgiti neo-fascisti, criminali strategie della tensione, hanno avvelenato anni della vita della Repubblica. Ma possiamo convenire su un giudizio storico: la nostra democrazia, aggredita e ferita, è riuscita a prevalere per la forza del suo radicamento nella coscienza del popolo italiano.

Cercare la verità è sempre un obiettivo primario della democrazia. La verità è inseparabile dalla libertà. Tante verità sono state ricostruite e conquistate, grazie anche all’impegno e al sacrificio di servitori dello Stato, mentre altre non sono ancora del tutto chiarite, o sono rimaste oscure. Non rinunceremo a cercarle con gli strumenti della legge, e con un impegno che deve essere corale. Questa ricerca deve accompagnarsi alla riflessione e al confronto sulle radici sociali, ideologiche del terrorismo. All’opposto dei regimi autoritari, la democrazia ha sempre bisogno di sapere, di coinvolgere, di scavare nella realtà, di portare alla luce e non di occultare. Di avere la verità. Tanta strada si è fatta. Nelle attività di indagini, nei processi giudiziari, nel lavoro giornalistico e pubblicistico, nell’approfondimento storico e culturale. In questa giornata, è giusto sottolineare che il percorso va proseguito insieme.

I familiari delle vittime hanno dato un grande contributo per avviare la nostra società a una ricostruzione che svelasse le responsabilità, le possibili connessioni con interessi esterni al nostro Paese, le complicità, i disegni e gli obiettivi criminali. La sofferenza dei familiari è stata tradotta, nelle Associazioni a cui hanno dato vita, nell’impegno civile che ha aiutato la crescita di una consapevolezza collettiva.

Quando la verità è riuscita a emergere, e si è accompagnata, da parte di alcuni terroristi, al riconoscimento delle proprie colpe e alla presa d’atto della mancanza di qualunque giustificazione della loro folle strategia, talvolta si sono anche aperti canali di dialogo personali, e spazi nei quali le coscienze si sono interrogate sul senso della riconciliazione. Sono spazi che la dimensione pubblica non può varcare: si può soltanto rispettare una così grande umanità, che ha fatto seguito a una così crudele disumanità.

Non pochi di coloro che hanno seminato morte e violenza hanno finito di scontare la loro pena, e dunque hanno avuto la possibilità di reinserirsi nella società. Le responsabilità morali e storiche tuttavia non si cancellano insieme a quelle penali, e ciò impone un senso di misura, di ritegno, che mai come a questo riguardo appare indispensabile.

Ci sono stati casi, purtroppo, in cui questa misura è stata superata, con dichiarazioni irrispettose e, talvolta, arroganti, che feriscono e che, insidiosamente, tentano di ribaltare il senso degli eventi, di fornire alibi di fronte alla storia. Questo non può essere consentito.

Bene ha fatto il presidente Giorgio Napolitano – a cui rivolgo un affettuoso saluto – a raccogliere e pubblicare, dieci anni fa, in un volume edito dall’Istituto Poligrafico, tutti i nomi e i volti delle vittime degli anni di piombo, affiancando quanti sono stati colpiti dalle varie sigle del terrorismo rosso a coloro sono rimasti vittime dei terroristi neri e delle stragi che hanno sconvolto il nostro Paese.

Quel documento non è il libro bianco di una democrazia fragile, ma un atto di coraggio dello Stato repubblicano che sa di aver sconfitto le trame eversive e i progetti di destabilizzazione, e che riconosce nei caduti una ragione di unità, un fondamento delle proprie basi morali.

Non dimenticheremo neppure un nome, neppure un volto, neppure una storia.

Quel libro fu pubblicato a cura della Presidenza della Repubblica dopo che il Parlamento decise di istituire questo Giorno della memoria, al fine di ricordare – così è scritto nella legge – “tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”.

Il giorno scelto dal legislatore è quello dell’omicidio di Aldo Moro. Si tratta di una scelta carica di significato. Il rapimento di Moro, lo spietato sterminio degli uomini che lo scortavano, il sequestro, a cui è stato sottoposto per cinquantaquattro giorni, rappresentano indubbiamente il punto più emblematico di quell’attacco che mirava a travolgere l’ordine costituzionale dello Stato.

Si vivevano, allora, tempi insanguinati nelle scuole, nelle strade, nelle fabbriche: la violenza politica si era fatta incombente e, nella nuova generazione, sembrava si dovesse convivere con una degenerazione del conflitto politico. Non tutti, anche nelle élite del Paese, compresero il pericolo e qualcuno evocò inverosimili neutralità tra lo Stato democratico e i terroristi. Proprio nei ceti più popolari e tra i lavoratori, invece, le istituzioni democratiche vennero avvertite come espressione di tutti, del bene comune, e come misura del progresso possibile.

Aldo Moro aveva una straordinaria sensibilità per ciò che si muoveva all’interno della società. Per le nuove domande, per le speranze dei giovani, per i bisogni inediti che la modernità metteva in luce. Non gli sfuggiva la pericolosità di tanto “imbarbarimento” (è una sua espressione) della vita politica e civile. Ma al tempo stesso continuava a scrutare i “tempi nuovi che avanzano”. Le stesse lettere dal carcere brigatista restano una prova della sua umanità, della sua intelligenza, della sua straordinaria tenacia di costruttore.

Oggi, a quarant’anni da quella tragedia, e da tempo, sentiamo il bisogno di liberare il pensiero e l’esperienza politica di Aldo Moro da quella prigione in cui gli aguzzini hanno spento la sua vita e pretendevano di rinchiuderne il ricordo.

Il Giorno della Memoria deve servire anche a questo: a restituirci l’opera, l’insegnamento, le speranze di chi è stato sradicato con la violenza e a mettere tutto questo a disposizione dei più giovani e di chi non rinuncia a costruire. Parlo di Aldo Moro, ma anche dei tanti martiri della democrazia che, come lui, possono tuttora dare molto al futuro della nostra comunità, di cui sono punti di riferimento. Per questo desidero ringraziare tutti gli storici, i ricercatori, gli intellettuali che, in questi decenni, hanno lavorato a liberare la Memoria e a restituirci la storia che ci appartiene, e che non può certo essere limitata al tragico rosario delle efferatezze dei terroristi.

Il corpo di Moro veniva ritrovato, nella Renault rossa, in via Caetani, il 9 maggio di quarant’anni fa. Lo stesso giorno la mafia uccideva Peppino Impastato. C’è un legame che unisce ogni violenza criminale contro la convivenza civile.

Anche nella giornata in cui la Repubblica invita a ripensare la specificità del pericolo terroristico, vogliamo tenere ben presente il nesso di libertà e di giustizia che sostiene l’impegno in ogni ambito per la legalità e il rispetto dei principi costituzionali. Le organizzazioni criminali, qualunque sia la loro origine, esprimono comunque un carattere di eversione che minaccia la nostra vita e restringe le opportunità di tutti. Fare memoria ci deve aiutare a contrastare ogni cedimento, ogni opportunismo, ogni connivenza, ogni zona grigia.

Il terrorismo e la violenza politica che giunsero negli anni ’77 e ’78 al culmine della loro macabra parabola, ebbero poi un rapido declino. Altre vite, purtroppo, furono colpite e stroncate. Altra violenza venne consumata. E apparve a tutti, via via, sempre più insensata, inspiegabile, crudele. Il terrorismo ha sempre cercato di aprire fratture, e di sconvolgere la normalità della vita per rendere deboli le istituzioni e vulnerabile lo Stato. Ma è stato sconfitto proprio dal tessuto sociale, da quell’elemento connettivo, che la democrazia produce, pur nelle sue imperfezioni.

Oggi la minaccia terroristica riveste nuove forme, e nuove modalità. Non sono meno pericolose di quarant’anni fa, colpendo all’improvviso nella società ormai globale e interdipendente. E’ il terrorismo internazionale, che reca anzitutto il segno del fondamentalismo islamista. Non è l’Islam il nemico, ma chi piega la fede religiosa per indurre all’odio e incitare alla guerra tra comunità religiose, tra popoli, tra persone.

Anche in questa stagione, la democrazia può e deve difendersi senza rinunciare ai propri valori, alla propria civiltà, all’idea di persona che fonda i diritti inviolabili. L’opera di prevenzione nel nostro Paese ha mostrato fin qui tutto il valore e la dedizione degli uomini e dei servizi che lavorano alla nostra comune sicurezza. Ma saremo ancora più forti se saremo capaci di far crescere la consapevolezza comune, e di assumerci la responsabilità, che come europei abbiamo, di favorire la pace e di costruire un equilibrio migliore nel pianeta.

Far memoria è parte di questa preziosa opera costruttiva. Far memoria anche di coloro che sono morti innocenti sotto i colpi di questo nuovo terrorismo cieco. Le cronache di questi mesi sono purtroppo piene di eventi spaventosi, di eccidi, di violenze in diverse regioni del mondo. Desidero ricordare, in questa giornata, le vittime italiane in alcune delle tragedie che più hanno sconvolto l’opinione pubblica mondiale.

Nostri concittadini hanno perso la vita nell’attentato del museo del Bardo, a Tunisi, nella strage di Dacca, in quella di Nizza, e ancora nelle Ramblas di Barcellona. Per ricordarli tutti rammento Valeria Solesin, stroncata con tanti altri giovani nel Bataclan, a Parigi, e Fabrizia Di Lorenzo, uccisa, a Berlino, a pochi giorni dal Natale. Le loro speranze devono continuare a vivere nel futuro della nostra comunità: lo dobbiamo a due giovani europee che non intendevano rinunciare alla vita e alle opportunità del tempo nuovo.

Questo è anche lo spirito del Giorno della Memoria, di questo giorno che celebriamo qui, oggi, al Quirinale. Che serve a rafforzare la democrazia, il migliore antidoto che conosciamo contro la violenza, la sopraffazione, e il migliore strumento di tutela della vita e della persona.

Foto a cura dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Quirinale

9 Maggio 2018: a Roma celebrate le vittime del terrorismo

 

Lo scorso 9 maggio alla Questura di Roma, in occasione del “Giorno della Memoria” dedicato alle vittime del terrorismo, si è svolta la cerimonia di commemorazione di tutti coloro che in quei drammatici “anni di piombo” hanno perso la vita per difendere le Istituzioni e lo Stato democratico.

All’evento, organizzato dalla Polizia di Stato, dall’Associazione degli insigniti al Merito della Repubblica(ANCRI) e dalle Associazioni “Memoria” e “ Vittime del Terrorismo”, hanno preso parte il Capo della Polizia Franco Gabrielli, il prefetto di Roma Paola Basilone, tantissimi dirigenti ed operatori della Polizia di Stato, i rappresentanti delle altre Forze di Polizia e della società civile, ma soprattutto oltre 60 familiari delle vittime del terrorismo che in precedenza erano stati ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Matterella.

In particolare erano presenti i familiari di Claudio Graziosi, Guardia di P.S., assassinato dai NAP a Roma nel 1977; Giuseppe Ciotta, brigadiere di P.S. assassinato dalle Brigate combattenti a Torino nel 1977; Raffaele Iozzino, Guardia di P.S. assassinato dalle BR in via Fani nel 1978; Giulio Rivera, Guardia di P.S. assassinato in via Fani dalla BR nel 1978; Rosario Berardi, Maresciallo della P.S. assassinato dalle BR a Torino nel 1978; Lorenzo Cutugno, Agente di Custodia assassinato dalle B. R. a Torino nel 1978; Mariano Romiti, Maresciallo di P.S. assassinato a Roma dalle BR nel 1979; Pierino Ollanu, Appuntato di P.S. assassinato dalle BR in piazza Nicosia nel 1979; Michele Granato, Appuntato di P.S. assassinato dalle BR a Roma nel 1979; Francesco Evangelista, Appuntato di P.S. assassinato dai NAR a Roma nel 1980; Mario Amato, magistrato, assa ssinato dai NAR a Roma nel 1980; Enrico Rizziero Galvaligi, Generale dei carabinieri, assassinato  a Roma 1980; Ciriaco Di Roma, Appuntato di P.S. assassinato dai NAR ad Acilia nel 1981; Sebastiano Vinci, vice Questore, assassinato a Roma dalle BR nel 1981; Luigi Carbone, Brigadiere della P.S. assassinato  dalle BR a Torre del Greco nel 1981; Antonio Galluzzo, Agente della P.S. assassinato a Roma dai NAR nel 1982; Franco Sammarco, Agente della P.S. assassinato dai NAR nel 1982; Rolando Lanari, Agente di P.S. assassinato in via Prati di Papa dalle BR nel 1987; Lucio Terminiello, impiegato di banca, assassinato da un esponente della destra extraparlamentare a Milano ; Pietro Scrofana, Commissario Capo, morto nel corso di una manifestazione in Piazzale Clodio; Emilio Perondi, docente Universitario, morto a Fiesole.

La cerimonia, moderata dal prefetto Francesco Tagliente, che ha sottolineato come «Ricordare oggi queste vittime significa alimentare il senso dello Stato nel q uale quei servitori dello Stato hanno creduto e per il quale si sono battuti», si è aperta con la proiezione di un breve filmato dedicato ai caduti della Questura di Roma che, tra tutte le Istituzioni impegnate nella lotta al terrorismo, è stata quella che in assoluto ha pagato di più in termini di vite umane.

Aprendo gli interventi, il Questore Guido Marino ha ricordato quanto sia importante testimoniare la vicinanza ai familiari delle vittime del terrorismo e manifestare il dovuto rispetto a quelle persone che hanno rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo in quegli “anni di piombo” e di strategia della tensione.

A seguire la videoproiezione di un video messaggio del presidente dell’associazione “Memoria” Mariella Magi Dionisi, che si è soffermata sulla sofferenza provata dai familiari delle vittime nel vedere alcuni terroristi salire in cattedra e pontificare,

Dopo è stata la volta del presidente dell’ANCRI Tommaso Bove; lo stesso ha sottolineato l’importanza di una gi ornata per mantenere sempre viva la memoria delle Vittime del terrorismo, ma anche per  esprimere la gratitudine a tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine che nei cosiddetti “anni di piombo” hanno strenuamente lottato, e vinto, contro il terrorismo a rischio ed a costo della loro stessa vita.

Ha preso poi la parola  il presidente dell’Associazione europea Vittime del terrorismo Giovanni Berardi, figlio del maresciallo del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza Rosario Berardi, assassinato a Torino dalle BR nel 1978, che ha voluto sottolineare il disagio nel vedere terroristi intervistati e interpellati come opinionisti : “Con superficialità e macabro gusto – ha detto –alcune istituzioni e loro rappresentanti, con la complicità dei media, sono sempre pronti ad offrire visibilità e pulpiti delle stesse istituzioni che gli stessi terroristi un tempo vollero abbattere armi in pugno”.

Per sentire le riflessioni del mondo della comunicazione, in qualche modo tirati in ballo dalle riflessioni di Berardi, il prefetto Tagliente ha coinvolto nella discussione due grandi giornalisti come Andrea Nemiz, che per circa 35 anni ha documentato tutti i fatti di terrorismo avvenuti sul territorio nazionale per Agenzia Italia e Paolo Gambescia, un pezzo di storia della carta stampata (dal 1998 al 2005 è stato direttore dell’Unità, del Mattino e del Messaggero).

Andrea Nemiz proiettando delle immagini fotografiche dell’archivio dell’AGI con il titolo “Il dolore nelle stragi” ha parlato del rapporto media- familiari delle vittime del terrorismo sottolineando che non di rado, i parenti vengono coinvolti del tutto inconsapevolmente, anche se solo da un punto di vista strettamente fotografico. “Ciò – ha precisato –  a causa di immagini di dolore in famiglia scattate, e poi pubblicate senza alcuna autorizzazione dai soggetti interessati”.

Paolo Gambescia, invece, rispondendo alla domanda su quale eredità ci hanno lasciato le vittime del terrorismo e gli uomini che, in quegli anni, hanno combattuto e battuto il terrorismo utilizzando gli strumenti giuridici della democrazia, ha detto che “le vittime di quegli attentati ci hanno arricchito di quel patrimonio di sapere professionale e di cultura della sicurezza che consentono oggi all’Italia di poter essere considerata un esempio nella lotta al terrorismo e nella sfida alla deradicalizzazione. Sicuramente –ha detto Gambescia- molti Paesi possono imparare dai poliziotti italiani che hanno avuto una drammatica esperienza storica nel contrastare fenomeni come il terrorismo degli anni ’70-’80 e la criminalità mafiosa”.

La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Capo della Polizia Franco Gabrielli articolato in diversi punti.

Gabrielli ha messo in risalto l’importanza delle celebrazioni del Giorno della Memoria, dedicato alle vittime del terrorismo con i familiari delle persone assassinate perché “un conto è raccontare, un conto è ricordare, un altro conto è vivere l’assenza di chi ha lasciato la vita; una riflessione sul tributo in termini di numeri di vite umane pagato dal Paese per gli attentati terroristici dal 1979 al 1988; una considerazione critica su alcune dichiarazioni fatte recentemente in un convegno sulla tortura, in cui si asseriva da parte di un magistrato che la fine del terrorismo era stato dovuto in parte alla scelta del Viminale e delle Forze di Polizia di intraprendere la logica della tortura.

“Le vittime del terrorismo ci hanno lasciato una importante eredità” ha detto il prefetto Gabrielli: “tutti noi poliziotti dobbiamo molto della nostra attuale rispettabilità sociale proprio al sacrificio di questi colleghi che non ci sono più”.

A margine della cerimonia il presidente Tommaso Bove e il prefetto Francesco Tagliente hanno consegnato al Capo della Polizia, Cavaliere di Gran Croce OMRI la tessera di Socio Onorario dell’Associazione degli insigniti al Merito della Repubblica.

Discorso del Capo della Polizia Franco Gabrielli su Vittime terrorismo tenuto alla Questura Roma 9 maggio 2018

Discorso del del Capo della Polizia, Prefetto Franco Gabrielli, alla cerimonia alla Questura di Roma in memoria delle Vittime del terrorismo, in occasione della Giornata Nazionale della Memoria per le Vittime del terrorismo del 9 maggio 2018.

Il Capo della Polizia Gabrielli nel sui discorso, articolato in diversi punti, ha affrontato anche i seguenti temi: l’importanza delle celebrazioni del Giorno della Memoria, dedicato alle vittime del terrorismo con i familiari delle persone assassinate perché “un conto è raccontare, un conto è ricordare, un altro conto è vivere l’assenza di chi ha lasciato la vita; una riflessione sul tributo in termini di numeri di vite umane pagato dal Paese per gli attentati terroristici dal 1979 al 1988; una considerazione critica su alcune dichiarazioni fatte recentemente in un convegno sulla tortura, in cui si asseriva da parte di un magistrato che la fine del terrorismo era stato dovuto in parte alla scelta del Viminale e delle Forze di Polizia di intraprendere la logica della tortura. “Le vittime del terrorismo ci hanno lasciato una importante eredità – ha detto il Prefetto Gabriell – tutti noi poliziotti dobbiamo molto della nostra attuale rispettabilità sociale proprio al sacrificio di questi colleghi che non ci sono più”.

Le riprese video sono state effettuate dalla trasmissione web Officina Stampa, tutti i diritti a loro riservati.

Montaggio a cura di Franco Mariani.

 

Saluto della Presidente dell’Associazione Memoria alla cerimonia della Questura di Roma

Il 9 maggio 2018 si è svolta alla Questura di Roma, in occasione del “Giorno della Memoria” dedicato alle vittime del terrorismo, la cerimonia di commemorazione di tutti coloro che in quei drammatici “anni di piombo” hanno perso la vita per difendere le Istituzioni e lo Stato democratico. All’evento, organizzato dalla Polizia di Stato, dall’Associazione degli insigniti al Merito della Repubblica(ANCRI) e dalle Associazioni “Memoria” e “ Vittime del Terrorismo”, hanno preso parte il Capo della Polizia Franco Gabrielli, il prefetto di Roma Paola Basilone, tantissimi dirigenti ed operatori della Polizia di Stato, i rappresentanti delle altre Forze di Polizia e della società civile, ma soprattutto oltre 60 fami liari delle vittime del terrorismo che in precedenza erano stati ricevuti al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Matterella.

La Presidente della nostra Associazione, Mariella Magi Dionisi,  rappresentata alla cerimonia dalla Vice Presidente Silvana Perrone Graziosi, essendo infortunata e non potendosi muovere ha inviato il seguente video saluto agli intervenuti che è stato proiettato nel corso della cerimonia.

 

 

9 Maggio 2018: ore 12 alla Questura di Roma Solenne Cerimonia per le Vittime del Terrorismo con il Capo della Polizia, Ass. Memoria, Polizia di Stato, ANCRI,Ass. Vittime Terrorismo

 Per la giornata dedicata alle vittime del terrorismo, la Polizia di Stato, l’ANCRI e le Associazioni vittime del terrorismo condividono un incontro celebrativo in Questura.

Per celebrare la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo, il 9 maggio, la Polizia di Stato, l’Associazione Nazionale degli insigniti al Merito della Repubblica Italiana(ANCRI) e l’Associazione “Memoria” in ricordo delle Vittime delle Forze dell’Ordine e della Magistratura per fatti di Terrorismo, hanno condiviso di promuovere un momento di riflessione alla Questura di Roma.

L’evento è stato organizzato per rendere omaggio alle vittime e ai familiari delle persone colpite da attentati durante gli anni di piombo e per riflettere insieme agli operatori che in quegli anni hanno creduto nel loro lavoro battendosi con tenacia a rischio della propria vita e della sicurezza dei propri familiari.

Tra tutte le istituzioni impegnate nella lotta al terrorismo, la Questura di Roma è stata quella che in assoluto ha pagato di più anche in termini di vite umane.

Ricordare quelle vittime in Questura significa alimentare il senso dello Stato nel quale hanno creduto e per il quale si sono battuti.

E’ importante manifestare la vicinanza ai loro familiari e rendere il dovuto rispetto a quelle persone che hanno rischiato la vita per sconfiggere il terrorismo in quegli anni di piombo e di strategia della tensione.

La cerimonia avrà inizio alle ore 12.00 di mercoledì 9 maggio, nella sala Augusto Cocola della Questura di Roma in via San Vitale 15.

I lavori, moderati dal Prefetto Francesco Tagliente, saranno aperti dal Questore di Roma Guido Marino.

Seguiranno gli interventi del presidente dell’ANCRI Tommaso Bove e del presidente dell’Associazione Memoria Maiella Magi Dionisi.

Interverranno poi due rappresentanti della stampa: il giornalista Andrea Nemiz, storico fotogiornalista dell’AGI oggi direttore della rivista Dossier Sicurezza e Paolo Gambescia già direttore de l’Unità, il Mattino e il Messaggero.

I lavori saranno conclusi del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Franco Gabrielli.

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RAI 3: trasmissione “Programmi dell’Accesso” con l’Associazione Memoria

L’Associazione “Memoria”, protagonista il 21 aprile 2018 della trasmissione “Programmi dell’Accesso”, curato da Franco Mariani, per parlare delle prossime cerimonie della Giornata Nazionale del 9 maggio 2018 in memoria delle Vittime del Terrorismo e per aggiornare la cittadinanza su quali sono ancora i latitanti degli anni di piombo rimasti impuniti grazie alla complicità di numerosi paesi esteri che hanno accolto i terroristi che in Italia hanno ammazzato inermi servitori dello Stato ma anche semplici cittadini.

Il servizio andato in onda è stato curato dal giornalista Franco Mariani.

Dall’Archivio video dell’Associazione Memoria
www.associazionememoria.it
curato dall’Addetto Stampa Giornalista Franco Mariani.

9 Maggio 2018: su Rai 1 ore 10,25 diretta cerimonia Giorno Memoria Vittime Terrorismo

Mercoledì 9 Maggio 2018 con diretta televisiva su Rai 1 a partire dalle ore 10.25,  al Palazzo del Quirinale, si terrà la  Cerimonia nazionale ufficiale di commemorazione della Giornata Nazionale della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi.

La cerimonia si terrà alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e delle massime autorità dello Stato.

La nostra Associazione, oltre ai vertici del Consiglio Direttivo, sarà presente alla cerimonia, che si terrà nel Salone dei Corrazzieri, con 40 associati, molti dei quali mogli e figli e figlie di vittime delle Forze dell’Ordine e della Magistratura.

 

Prefetto Tagliente: Gli anni di piombo vissuti in divisa

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Anni di piombo, Tagliente: molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati

(AGENPARL) – Roma, 21 mar 2018 – “Erano gli anni degli attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini rappresentanti della società civile, dirigenti di azienda, giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario, delle forze dell’ordine e persone degli altri apparati dello Stato. Molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati”.

Lo scrive su FB il prefetto Francesco Tagliente rispondendo ad un post di un suo follower.
“La paura – aggiunge Tagliente – è un sentimento umano che riuscivamo a dominare. Quello che non si riusciva a gestire era il timore che potesse capitare qualcosa ai nostri familiari. Penso comunque che sia necessario fare una distinzione tra i funzionari, il personale degli Uffici investigativi e gli operatori delle Volanti costretti ad uscire e rientrare a casa da soli e, a causa dei turni, in fasce orarie prevedibili.

Io posso parlare delle Volanti. Consapevoli che alcuni colleghi erano stati colpiti con azioni imprevedibili e in maniera vigliacca, in tanti si videro costretti a cambiare continuamente abitudini, itinerari e orari di uscita e rientro. Quasi tutti tolsero o cambiarono il nome dal citofono e dal portone di casa. Ci fu chi decise di allontanare la famiglia dalla sede di servizio.

Al termine dei turni il personale che dormiva negli alloggi collettivi di servizio veniva accompagnato con un pullman scortato dalle volanti. E alcuni ammogliati per evitare di far conoscere l’indirizzo di casa preferivano dormire negli alloggi delle caserme”.

Negli anni della cosiddetta strategia della tensione, che misero a dura prova gli operatori di polizia, ma in particolare quelli impegnati nella Capitale, Il prefetto Francesco Tagliente era in servizio alla squadra Volante della Questura Roma.

Il prefetto Tagliente ha conservato un particolare legame con i suoi compagni di viaggio degli anni 70^ manifestando una grande attenzione per le vittime del terrorismo. A conclusione del suu mandato da Questore a Roma, in una intervista rilasciata a Paolo Gambescia, pubblicata nel libro “Doppiavela 21, 113 pronto! Una storia tra storia e Immagini” edito dalla Franco Angeli, dedica la sua esperienza romana “ai caduti della Polizia di Stato, che hanno creduto nel loro lavoro fino al sacrificio”. Peraltro conclude quella intervista dicendo che “Mantenere viva la memoria di quelle vite significa alimentare il senso dello Stato per il quale quelle vite stesse sono state sacrificate” E proprio alle vittime del terrorismo e del dovere rende omaggio, chiedendo a Marianna Di Nardo, autrice di quel libro, di pubblicare i loro nomi. Impegno mantenuto perché in appendice al Volume sono stati pubblicati, in due distinti elenchi, i nomi delle vittime del terrorismo e del dovere decedute.

Prefetto Tagliente ad Ansa: “Moro: paura fu compagna agenti e famiglie”

ANSA/ Moro: Tagliente, paura fu compagna agenti e famiglie Ex prefetto Pisa ricorda servizio su volanti 40 anni fa a Roma FIRENZE (di Domenico Mugnaini) (ANSA) – FIRENZE, 16 MAR – “Non era facile fare servizio in quegli anni cruciali. Era il periodo del terrorismo e della criminalità agguerrita, vigliacca e sanguinaria. Nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti si presentavano mascherati e spesso armati di spranghe, mazze, chiavi inglesi talvolta di molotov e addirittura di pistole”. Così l’ex questore di Firenze e Roma ed ex prefetto di Pisa, Francesco Tagliente, ricorda gli anni del terrorismo e il sequestro di Aldo Moro. “La tensione e la paura, erano entrati a fare parte della quotidianità anche delle famiglie dei poliziotti. Ci sentivamo bersagli mobili di criminali sanguinari e vigliacchi che sparavano anche alle spalle di persone indifese”, aggiunge. Quel giorno di 40 anni fa Tagliente, allora responsabile di uno dei nuclei delle volanti a Roma, era smontato dal turno di notte poche ore prima della strage. Non vuole parlare di via Fani ma di ciò che vivevano in quei giorni gli uomini delle forze dell’ordine, del timore di uscire in servizio e non sapere cosa li aspettava: “Erano gli anni dei sequestri di persona, delle rapine sanguinarie ai furgoni portavalori, alle banche, agli uffici postali e alle gioiellerie, erano gli anni dei furti nei caveau, delle cd spaccate delle vetrine, dei furti multipli in appartamento. Nel corso degli interventi – dice Tagliente – la tensione era sempre altissima e l’adrenalina andava a mille. Le volanti erano frequentemente sollecitate e impegnate in spericolati inseguimenti. Ci lanciavano contro anche bottiglie incendiarie, bombe a mano e granate”. Erano gli anni degli “attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini – continua l’ex prefetto – rappresentanti della società civile, dirigenti di azienda, giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario, delle forze dell’ordine e persone degli altri apparati dello Stato. Molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati”. (ANSA). MU

LA REPUBBLICA: Mariella Magi Dionisi sconvolta per le parole della terrorista Balzerani

LA REPUBBLICA edizione di FIRENZE di domenica 18 marzo 2018 con le dichiarazioni di Mariella Magi Dionisi, Presidente dell’Associazione Memoria, e vedova dell’Agente di Polizia Fausto Dionisi, contro le parole di disprezzo per le vittime del terrorismo da parte della terrorista Balzerani in occasione del 40° anniversario della strage di Via Fani della scorta dell’On. Aldo Moro, rilasciate a Firenze durante un apparizione pubblica della terrorista.

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LA REPUBBLICA: Le dichiarazioni della Presidente Magi Dionisi contro la terrorista Balzerani sul 40° della strage scorta On. Aldo Moro

LA REPUBBLICA edizione di NAZIONALE di domenica 18 marzo 2018 con le dichiarazioni di Mariella Magi Dionisi, Presidente dell’Associazione Memoria, e vedova dell’Agente di Polizia Fausto Dionisi, contro le parole di disprezzo per le vittime del terrorismo da parte della terrorista Balzerani in occasione del 40° anniversario della strage di Via Fani della scorta dell’On. Aldo Moro, rilasciate a Firenze durante un apparizione pubblica della terrorista.

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Intervista RAI 2-I FATTI VOSTRI a Giovanni Ricci figlio del Carabiniere Domenico Ricci, autista e scorta del Presidente Aldo Moro, trucidato dai terroristi delle Brigate Rosse.

Intervista della trasmissione Rai 2 “I fatti vostri” a Giovanni Ricci, figlio dell’autista e scorta del Presidente Aldo Moro, il Carabiniere Domenico Ricci, trucidato, assieme agli altri 4 componenti della scorta, dai terroristi delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 a Roma in via Fani.

L’intervista in diretta è andata in onda il 16 marzo 2018 in occasione del 40° anniversario dell’eccidio.

Per motivi di diritti Rai non possiamo mostrarvi il video ma farvi sentire solo l’audio.

Giovanni Ricci è uno tra i membri più impegnati della nostra Associazione in ricordo di tutte le vittime delle Forze dell’Ordine e della Magistratura per fatti di terrorismo.

 

 

Dopo 40 anni ancora nessuna Verità e nessuna Giustizia per loro

Sono trascorsi 40 anni dalla strage di via Fani dove furono trucidati Maresciallo Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino.

Per loro ad oggi nessuna Verità, nessuna Giustizia.

Noi non dimentichiamo!

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ARRESTATO BATTISTI: l’ex terrorista stava fuggendo per scampare all’arresto/estradizione

Arresto in Brasile confermato per Cesare Battisti l’ex terrorista, membro dei Proletari armati per il comunismo (Pac) : lo ha deciso il giudice federale, Odilon de Oliveira, durante l’udienza di custodia svoltasi in videoconferenza nella sede della polizia federale di Corumba’.

Il magistrato ha ritenuto che ci fossero i presupposti per la custodia cautelare in carcere.

Secondo il giudice del Mato Grosso do Sul – stato del Brasile centro-occidentale dove Battisti è stato fermato mercoledì 4 ottobre 2017 dalla polizia stradale – l’ex terrorista “di fatto” stava cercando di varcare il confine del Brasile in direzione della Bolivia.

Per de Oliveira, dunque, la misura preventiva nei confronti dell’italiano è necessaria proprio per scongiurare il “pericolo di fuga”.

Condannato all’ergastolo in via definitiva per quattro omicidi commessi durante gli anni di piombo, Battisti nel 2010 ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Brasile dall’ex presidente della Repubblica, Luiz Inacio Lula da Silva.

Il 25 settembre scorso l’Italia aveva chiesto al Brasile di rivedere la decisione con la quale l’allora presidente Luiz Inacio Lula da Silva, nel 2010 negò l’estradizione di Cesare Battisti, accordandogli lo status di rifugiato.

Cesare Battisti ha dichiarato alla polizia federale di “non temere di essere estradato in Italia”, perché si sente “protetto” da un decreto dell’ex presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva, che gli ha concesso un “visto permanente” nel paese sudamericano. Lo riferisce il sito del quotidiano ‘Estadao’.

Tra gli oggetti trovati sull’auto in cui viaggiava Battisti e confiscati dalla polizia c’è anche un involucro contenente una ‘sostanza in polvere di colore biancastro’: lo rendono noto i media.

Gli inquirenti non escludono che possa trattarsi di cocaina e, su ordine del commissario Iuri de Oliveira, hanno sottoposto la confezione all’esame dei periti criminali. Agli agenti che l’hanno fermato l’ex terrorista ha negato di essere il proprietario dell’oggetto “non classificato”.

L’Italia è fortemente determinata a far sì che Battisti sconti la pena, e la sconti nel nostro paese. E’ questo un modo per restituire, almeno in parte, quanto è stato tolto al nostro paese e ai familiari delle vittime”. Lo ha detto il ministro della giustizia Andrea Orlando oggi a Milano.

L’estradizione “è possibile” secondo il ministro. Orlando ha spiegato che “sono stati fatti tutti i passaggi necessari” presso le autorità politiche e giurisdizionali, ma dopo l’ultimo arresto dell’ex militante dei Pac ne verranno fatti altri.

Il ministro ha ricordato come la richiesta di estradizione sia “ferma da tempo” presso le autorità brasiliane.

“Oggi con ambasciatore Bernardini per riportare Battisti in Italia e assicurarlo alla giustizia. Continuiamo lavoro avviato con autorità brasiliane “. E’ quanto sottolinea il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, in un tweet postato dalla Farnesina sul suo sito.

Il Segretario del PD Matteo Renzi ha così twittato: “Battisti stava fuggendo in Bolivia. L’hanno preso. Adesso le autorità brasiliane lo restituiscano all’Italia, subito”.

Tutto il caso Battisti nel nostro dossier: per leggerlo clicca qui

Questi alcuni articoli dei principali quotidiani italiani pubblicati dal giorno 5 al 15 ottobre 2017 con la notizia dell’arresto e successivi sviluppi.

Per vedere l’articolo più grande basta cliccarci sopra due volte.

lte.

 

Il Coraggio di Antonia Custra che sconfisse l’odio per l’assassino del padre l’Agente PS Antonio da parte dei terroristi

La Repubblica morte Antonia CustraSi è spenta a soli 40 anni, stroncata da un cancro, Antonia Custra, figlia dell’Agente di Polizia Antonio Custra, ucciso nel 1977 a Milano dal terrorista Mario Ferrandi mentre lei doveva ancora nascere.

Alla Famiglia di Antonia le più vive condoglianze dell’Associazione “Memoria”.

Questo l’articolo che gli ha dedicato oggi il quotidiano nazionale La Repubblica.

cronaca

La storia.

Muore a 40 anni la figlia dell’agente Custra, ucciso nel ’77 a Milano dal terrorista Ferrandi. Orfana prima di nascere

Il coraggio di Antonia che sconfisse l’odio per l’assassino del padre


Artico La Repubblica del 19/08/2017 a cura di PIERO COLAPRICO
MILANO

È morta Antonia, figlia di Antonio, e cioè di un poliziotto ucciso e rimasto ancorato a una fotografia, quella scattata il 14 maggio 1977 a Milano, in via De Amicis: si vede un giovane dell’Autonomia, braccia tese e volto coperto, che spara ad altezza d’uomo. A oltre 100 metri, dall’altra parte del revolver, c’era il Terzo Celere schierato. Una pallottola colpì il vicebrigadiere Antonino “Custrà”, si scrisse allora, con l’accento sulla “a”, finché non è spuntata Antonia, a dire che si chiamava Custra, senza accento. E Antonia era una che voleva capire. Senza segreti, senza omissioni, senza barare.

S’era trovata orfana prima di nascere, a San Giorgio a Cremano. E sua madre, che era andata al funerale con il pancione, vestita di nero, e s’è confinata in casa, aveva scelto per lei il nome del padre: «Quel proiettile ha ammazzato papà, mamma, che è un fiore appassito, e me, che sono nata già morta, con una vita colorata di nero». Eppure, in qualche modo, «Antonia aveva saputo ritrovare i colori», come dice l’ex terrorista Mario Ferrandi. «È una che ha combattuto a fondo, anche contro la malattia. E ha lottato anche per lavorare in polizia, come suo padre. Era spazzina e s’è data da fare, concorso dopo concorso. Ho saputo della sua morte da Facebook. Qualche volta ci sentivamo, e sarà una frase fatta, ma che muoia a 40 anni una come lei è davvero un’ingiustizia ». Che a ricordare così Antonia, figlia di una vittima degli “anni di piombo”, possa essere uno con il passato di Ferrandi può far fastidio. Ma è anche attraverso l’ex terrorista — che aveva 21 anni e il nome in codice “Coniglio” quando il suo “Collettivo Romana” sparò e uccise — che si può comprendere meglio la scelta di Antonia. E anche un pezzo della nostra storia.

C’è da fare un salto sempre nel passato, ma più recente, nella primavera di dieci anni fa, del 2007. C’è un’altra foto, si vedono Ferrandi, che allora aveva passato i 50, era stato in carcere, e viveva di lavori precari, e la trentenne Antonia che s’incontrano in via De Amicis. Proprio nei luoghi della morte, e delle pallottole. Era stato Mario Calabresi, che stava scrivendo “Spingendo la notte più in là”, a raccontare alla ragazza i nuovi dettagli giudiziari della tragedia e per Antonia era stato come aprire una diga. Del papà non aveva niente, se non il peso a volte insopportabile dell’assenza, più di contorno «qualche nome da odiare». Si destreggiava tra anoressia e bulimia, una giovinezza complicata, ma «volevo guarire». E l’occasione era arrivata nel modo più inatteso: con una telefonata in un programma tv, favorita da don Antonio Mazzi, che era stato il primo “datore di lavoro” di Ferrandi.

Era sbocciata così, in pubblico, una proposta vagamente assurda. Ma Antonia e quello che era stato “Coniglio” ci avevano creduto. Ed erano andati insieme sulla scena del crimine, e lì la figlia di Antonio aveva provato «un fortissimo dolore», ma anche — sono parole sue — «papà accanto a me». Per quanto tutto sia stato e possa essere complicatissimo e indicibile, Antonia ha voluto concludere quell’incontro esagerato e cruciale regalando all’ex terrorista una foto del padre. Non in divisa, ma da giovane sposo sorridente. «Ce l’ho, ci mancherebbe, io so che noi le abbiamo strappato il papà e lei mi ha regalato del gran bene, e almeno sono riuscito a dirglielo, che era una grande anima». Non stupirà sapere che quando, un paio d’anni fa, Ferrandi ha chiesto e ottenuto la “riabilitazione”, Antonia ha dato il suo parere favorevole ai giudici: «So che i terroristi non hanno ucciso per soldi, o per un tornaconto, ma per ideali sbagliati, non voglio più odiare, so che alcuni sono cambiati davvero».

A non essere sconfitto, si sa, a volte è il cancro: e così è successo ad Antonia. Ma lei ha continuato a lottare, il “buio” l’aveva sconfitto: anche grazie al perdono e «a mia madre, che anche se non è d’accordo mi lascia fare».

Antonia Custra e padre Antonio Custra

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La Repubblica morte Antonia Custra

Morto Marco Luchetti vittima a soli 15 anni dei terroristi

Marco LuchettiIl 10 agosto 2017 è morto a 57 anni, dopo un’indicibile sofferenza dovuta alla malattia proviata dal fuoco terrorista, e contro la quale si è battuto, senza mai cedere allo sconforto, Marco Luchetti.

Marco, è una vittima del terrorismo; fu colpito nel 1975, a soli 15 anni (nella foto Marco in una foto pubblicata da un quotidiano dell’epoca il giorno dopo l’attentato).

E’ stato uno dei primi ad aderire all’Associazione Memoria.

L’Associazione Memoria si stringe alla famiglia per la perdita del caro Marco e porge le proprie condoglianze.

Noi tutti lo ricorderemo come una persona semplice, un ragazzetto che troppo presto ha dovuto cimentarsi con l’odio, la viltà, l’ingiustizia…ed è cresciuto troppo in fretta, diventando un Uomo.

Noi tutti lo ricorderemo come un uomo forte, che ha saputo affrontare a piè fermo ogni avversità, non arretrando di un passo, mai, malgrado tutti, nonostante tutto.

Non aveva nulla da dimostrare a nessuno, eppure, se “combattere è un destino”, quello è stato il suo.

Il 29 ottobre del 1975, quando aveva soli 15 anni, era sulla sulla soglia della sezione del  MSI di via Erasmo Gattamelata, a Roma, al quartiere Prenestino, ad aspettare il fabbro che riparasse il portone d’ingresso blindato, danneggiato a seguito di un’attentato di pochi giorni prima, mentre all’interno un operaio stava riparando la grata di una finestra dalla quale “i soliti ignoti” avevano cercato di introdursi la sera prima…aveva solo quindici anni, ed era insieme a Claudio Lombardi e Mario Zicchieri.

Arrivarono e spararono a fuoco incrociato, per uccidere.

Marco restò gravemente ferito…avrebbe sofferto tutta la vita per le conseguenze delle ferite inflittegli nel corpo, che lo menomarono fisicamente, pur non riuscendo a mitigare il coraggio delle sue idee, né a minare la sua forza interiore.

Ha affrontato l’ingiustizia…nel 1982 un pentito fece i nomi degli attentarori: Morucci, Seghetti e Maccari, tutti brigatisti rossi.

Non furono mai condannati per il vile attentato contro ragazzi inermi.

Fu raggiunto da 3 cartucce che gli svuotarono in corpo 27 pallettoni: 2  si fissarono nel polso, 5 nella mano (perforandola da parte a parte), 10 nella coscia, 10 nel ginocchio, distruggendolo completamente.

Quelli che è riuscito a recuperare li conserva gelosamente in cassaforte. “Ne ho solo 6. Gli altri li avranno dati alla Polizia per le indagini mentre ero ancora ricoverato al San Giovanni”, disse all’epoca.

Ha subito più di una decina interventi.

Nessuno è mai riuscito a spiegarsi come abbia potuto camminare in tutti questi anni: un miracolato.

“Pochi giorni dopo mi volevano amputare la mano e la gamba destra. Sarò sempre riconoscente al Prof. Guida che con il suo intervento si è preso la responsabilità di trasferirmi alla clinica S. Raffaele evitando un’ulteriore dramma”.

“Sono entrato e uscito dall’Ospedale ininterrottamente per tre anni. L’ultimo intervento è stato venerdì 17 Marzo del ’78, il giorno dopo il rapimento di Moro. Mi ha operato il Prof. Fineschi al Gemelli”.

“Io non sapevo neppure che mi sarei potuto costituire parte civile, come la famiglia Zicchieri. Per di più quando andavo in giro per avvocati, chiedendo se qualcuno potesse interessarsi alla mia causa, tutti mi sbattevano la porta in faccia. Appena dicevi ‘Brigate Rosse’, cambiavano espressione”.

“Non mi hanno mai avvisato che ci sarebbe stato un secondo grado”.

“Io l’identikit l’ho fatto subito. E poi sono andato a testimoniare. Ho tutte le carte. Dirò di più, il giorno in cui sono stato ascoltato, in Primo Grado, mi sono trovato a discutere con il Giudice in merito alle armi che avevano usato durante l’agguato. Probabilmente avevo un tono concitato. Così è stato fatto avvicinare un poliziotto ed il Presidente mi ha detto ‘se continua ad avere questo atteggiamento, la faccio arrestare per oltraggio alla Corte’. Da quella volta non sono più andato alle udienze, perché ho capito che per la giustizia non ero io la vittima, ma i miei carnefici”.

“Il ricorso in Cassazione non si è fatto per un ‘incidente’: l’atto va depositato alla cancelleria di Piazza Cavour, peccato che il giorno prestabilito per la consegna, c’è sciopero della cancelleria. L’ufficiale giudiziario scrive sulla pratica ‘trovato gli uffici chiusi e nessun funzionario addetto a ricevere i documenti’. I tempi per la presentazione dell’istanza scadono. Il verdetto è inappellabile: ‘ricorso inammissibile per decorrenza dei termini’ “.

“Ho cercato di crearmi un futuro nella mia vita dopo il 29 Ottobre, l’ho fatto da solo. Soffrendo a denti stretti perché invalido, ma non riconosciuto nel mondo del lavoro. Lo Stato si è ricordato delle vittime del terrorismo solo con la legge 407/1998 (e successivamente con la legge 206/2004). Un po’ in ritardo. Ma la situazione è cambiata di poco, perché una legge ideata solo per le vittime del terrorismo è diventata un calderone, con tutto rispetto per le vittime di altri eventi”.

“La legge 222/2007, all’art.34 indica che fra i benefici spettanti alle vittime c’è anche la concessione onorificenza di ‘Vittima del terrorismo’ da parte del Presidente della Repubblica con la consegna di una medaglia in oro”.

Marco ha fatto la richiesta nel Dicembre 2007.

Non gli hanno fatto sapere nulla fino al suo sollecito del 2008.

La risposta del Ministero dell’Interno è stata “La Commissione Consultiva ha ritenuto che, nel caso di specie, la norma non consenta la concessione dell’onorificenza in questione in quanto ‘la vittima, tenuto conto della giovanissima età e della circostanza che era un semplice iscritto ad una sezione di partito, non poteva essere identificata da eventuali terroristi come bersaglio da colpire per le proprie idee e per il proprio impegno morale, come espressamente previsto all’art.34 legge 222/2007. Spiace quindi comunicale che la sua richiesta non può trovare accoglimento”.

“Una medaglia – disse – non mi cambia la vita. Ma se mi spetta perché non posso averla? A questo punto vorrei fare ricorso, solo per il gusto di poterla riconsegnare al Presidente della Repubblica”.

“Va tutto al contrario in questo Paese. I carnefici diventano vittime. E le vittime, quelle vere, diventano un peso, degli appestati senza giustizia”, è sempre il suo giudizio in tutti questi anni fatte solo di sofferenze, abbandonato anche dallo Stato.

Un morto senza giustizia.

(Scheda storica a cura del Giornalista Franco Mariani)